You are currently viewing NON FARE COME MARK! Difenditi dalle false accuse dei dipendenti senza peggiorare le cose.

NON FARE COME MARK! Difenditi dalle false accuse dei dipendenti senza peggiorare le cose.

Difendersi dalle accuse è difficile se non sai quando star calmo.

Le tattiche difensive usate da Mark Zuckerberg e dai vertici del suo social network per difendersi dalle accuse a Facebook fatte dalla whistleblower, Frances Haugen, sono un ottimo esempio didattico di come spesso le aziende si facciano molto male con le proprie mani.

Una delle sfide di crisis communication più difficili per le aziende quando rispondono ad accuse vere o false che gli vengono scagliate contro è cercare di farlo evitando di apparire troppo aggressive e sgradevoli.

Il rischio che corrono è sempre quello di far passare in secondo piano le giuste argomentazioni sulle proprie ragioni e far prendere in simpatia chi invece le attacca, creando, estendendo o peggiorando la crisi.

Cosa importa a te delle accuse a Facebook?

Vediamo cosa è successo, prima. 

Frances Haugen, ex product manager Facebook, ha testimoniato davanti al Senato americano su quanto il social network cerchi a tutti i costi di tenere gli utenti sulle sue piattaforme, anche quando sa che i contenuti con cui interagiscono sono dannosi e potrebbero avere conseguenze molto negative soprattutto sui più giovani

Facebook non ha esitato a tirare fuori i cannoni e passare subito al contrattacco.

Di sicuro è ancora presto per tirare le somme sulle conseguenze della strategia difensiva di Facebook a queste accuse, perché è avvenuto tutto solo pochi giorni fa. 

(Nel frattempo, comunque, è un fatto certo che Facebook ha avuto immediatamente un crollo azionario del 4,8% che ha distrutto miliardi di dollari…)

Quello che possiamo fare però è commentare l’uso delle tattiche di comunicazione di crisi che Facebook ha scelto di usare per rispondere alla testimonianza di Frances Haugen.

Essere costretti a difendersi dalle accuse di un ex dipendente è una delle cause di problemi più frequenti per una azienda. 

Ecco perché è importante occuparsene. 

Esaminare quali sono stati i possibili passi falsi potrebbe aiutarti a capire cosa fare in futuro per risolvere una faccenda simile senza rischiare di spaccarti le gambe. 

Come difendersi dalle accuse – Gli errori da evitare sempre.

Mettere in discussione la credibilità della persona

ABC News ha riferito che “Pochi minuti dopo la testimonianza della whistleblower, Facebook ha rilasciato una dichiarazione cercando di screditare la Haugen, affermando che la donna ha lavorato per l’azienda “per meno di due anni, non ha avuto rapporti diretti, non ha mai partecipato a una riunione decisionale con dirigenti di alto livello – e ha testimoniato più di sei volte di non aver mai lavorato sulla materia della salvaguardia degli utenti”.

L’errore qui è attaccare la persona invece di ciò che afferma. 

Non ha nessuna importanza se la Haugen abbia lavorato in Facebook due anni o venti o se non abbia mai messo piede nelle sue boardroom. E’ importante solo se quello che afferma è vero o non è vero. E’ solo questo che va dimostrato e comunicato.

Ci sono innumerevoli motivi per i quali anche un semplice dipendente può entrare in possesso di informazioni riservate su pratiche poco pulite riguardo una azienda, anche solo dopo pochi mesi di lavoro. 

E specialmente per una multinazionale difendersi dalle accuse di un semplice dipendente attaccandolo o screditandolo come persona spinge le persone comuni a tifare per lui, come Davide contro Golia.

Si attaccano sempre le accuse mai le persone.

Ignorare la percezione comune

Il Washington Post riferisce che Facebook ha inviato un post sul blog la mattina presto per difendersi dalle accuse della Haugen, dicendo che “proteggere la nostra comunità è più importante che massimizzare i nostri profitti“. 

Questo è un errore classico.

La comunicazione di crisi non si costruisce nel vuoto.

Qualunque tipo di risposta di crisi data da una azienda deve sempre tenere conto della percezione nella testa delle persone non solo dell’azienda stessa ma dell’intero settore (le banche, le multinazionali, le case farmaceutiche..), e partire da lì a costruire il messaggio.

Noi amiamo Facebook, disintegriamo ore e ore di tempo ogni giorno, molti di noi ne sono proprio dipendenti come dalla nicotina …ma non ci crede nessuno che per Facebook proteggere le persone sia più importante che usarle per fare più soldi possibile. 

Lo sappiamo tutti che il core business di Facebook sia fare decine di milioni di dollari ogni giorno in vari modi e non quello di proteggerci dal male.

Lo sappiamo, lo accettiamo, ci lamentiamo, cerchiamo di non prestarci al gioco ma poi lo facciamo pienamente consapevoli.

Per rispondere alle accuse, Facebook, non può contare su una riserva di benevolenza nei suoi confronti, come non lo potrebbe fare una azienda produttrice di alcool o un brand di auto sportive velocissime dicendo che la cosa che per loro è più importante è la salute e la salvaguardia delle persone.

A peggiorare la situazione ci sono anche i risultati di una ricerca interna di Facebook trapelati sul Wall Street Journal che dimostrano chiaramente quanto Instagram sia ‘tossico’ per le ragazze adolescenti” e che vertici di Facebook lo sapevano da tempo e non hanno nulla per evitarlo.

(Sì, ultimamente è sempre giornataccia per Mark)

Non comunicare abbastanza le azioni fatte

In una nota ai dipendenti e poi pubblicata sulla sua pagina Facebook, Zuckerberg riguardo alla ricerca su Instagram ha detto: “Queste accuse non hanno alcun senso. Se volessimo ignorare la ricerca, perché avremmo creato un programma di ricerca per capire meglio gli effetti dei nostri social?

“Se non ci interessasse combattere i contenuti dannosi, allora perché impiegheremmo così tante persone a lavorare su questo rispetto a qualsiasi altra azienda del nostro campo – anche quelle più grandi di noi?

“Se volessimo nascondere i nostri risultati, perché avremmo stabilito uno standard leader del settore per la trasparenza e il reporting su ciò che stiamo facendo?”

Facendo finta di essere delle anime candide, e di non sapere che tutto questo avviene perché Facebook è costantemente sotto gli occhi del mondo ed è spinto a farlo un pò per generare pubbliche relazioni positive e un pò perché appunto… è spinto a farlo dal Senato, le associazioni di consumatori, i competitor, l’opinione pubblica ostile, etc, il problema di crisis communication qui è che tutto questo probabilmente non viene comunicato abbastanza.

La comunicazione di crisi non è l’azione di comunicare ma comunicare l’azione.

Se tante persone sono davvero impiegate in ricerche e sviluppo di soluzioni per mitigare gli effetti dannosi dei social almeno il doppio dovrebbero essere impiegate nel farlo sapere a tutti ma proprio tutti.

La pagina Facebook di Zuckemberg non è sufficiente. 

Camuffare una azione di marketing in un gesto di responsabilità aziendale

In quello stesso post, Zuckerberg ha detto: “Al centro di queste accuse c’è questa idea che noi diamo la priorità al profitto rispetto alla sicurezza e al benessere. Questo non è vero.

(…ancora?)

Per esempio, una cosa che abbiamo fatto è modificare il nostro algoritmo per mostrare meno video virali e più contenuti da amici e familiari, sapendo che questo avrebbe significato che le persone avrebbero passato meno tempo su Facebook, ma le nostre ricerche hanno suggerito che era la cosa giusta da fare per il benessere delle persone. È qualcosa che un’azienda concentrata sui profitti piuttosto che sulle persone farebbe?”.

Beh, la risposta è sì, Questo non è tanto un errore tattico di crisis communication quanto una opportuna correzione strategica sul brand fatta passare come azione di altruismo e responsabilità.

Facebook è nato come strumento per restare in contatto e condividere contenuti con amici e familiari. E’ questo fattore che lo ha fatto crescere e diventare ciò che è. 

Molte persone hanno abbandonato Facebook proprio perché negli ultimi anni si sono rese conto che era diventato “altro”. Un frustrante contenitore succhia tempo pieno di video, test di personalità e articoli virali su qualunque cosa ma sempre meno pronto a far loro sapere che la cugina in Germania aveva deciso di sposarsi con un peruviano conosciuto su Tinder.

E’ questo che le ricerche avranno suggerito, soprattutto. 

Far passare una azione di marketing per non perdere utenti per una mossa fatta per il benessere delle persone potrebbe farle arrabbiare.

“Sappiamo che siete su Facebook per restare in contatto coi vostri amici e abbiamo modificato il nostro algoritmo per aiutarvi in questo, evitandovi di perdervi tra milioni di altri contenuti” sarebbe stato un messaggio più credibile e apprezzato di “…lo abbiamo fatto per il vostro benessere

Sfidare la logica con l’ipocrisia.

Sempre da quello stesso post, Zuckerberg ha detto: “Dire che facilitiamo deliberatamente la diffusione contenuti che fanno arrabbiare le persone per trarne profitto è molto illogico

“Guadagniamo con gli annunci, e gli inserzionisti ci dicono costantemente che non vogliono i loro annunci accanto a contenuti che generino rabbia. E non conosco nessuna azienda che vuole costruire prodotti che fanno arrabbiare o innervosire le persone. Gli incentivi morali, commerciali e di prodotto puntano tutti nella direzione opposta”.

Di certo Apple non progetterà iPad che fanno arrabbiare chi li usa, la stessa cosa farà Starbucks con le sue caffetterie o Amazon col suo marketplace (…non lo faranno di proposito, almeno), ma Facebook sa bene che la rabbia, l’indignazione e la controversia generano interazioni infinite e che sono proprio queste che alla fine, il tempo trascorso a scrivere, duellare o protestare, che genera profitto.

Di nuovo, l’ipocrisia non passa inosservata a lungo. 

Il funzionamento del modello di business di Facebook sarà ignoto alla mia mamma e alla sua estetista che scrive post inferociti sul mancato abbassamento dell’iva sugli assorbenti alzando l’engagement del post, forse, ma altrimenti le persone iniziano a conoscerlo bene.

Cosa abbiamo imparato dagli errori commessi da Facebook per difendersi dalle accuse al Senato?

  • L’approccio, l’atteggiamento e il tono delle risposte usato per difendersi dalle accuse sono importanti quanto le parole che vengono dette o scritte.
  • Qualunque commento, rapporto, dichiarazione condivisa con dipendenti o personale interno può facilmente essere inoltrata a altri e riportata dalla stampa o su web. Attenzione.
  • Non si attacca, non si scredita, non si sminuisce mai chi ti accusa, ma si affrontano di petto e si smontano solo le sue affermazioni.
  • Se operi in un settore pieno di pregiudizi da parte delle persone, o se la tua azienda non gode di una buona reputazione, e vieni coinvolto in qualcosa che conferma (o anche sembra confermare) queste convinzioni negative, non puoi cercare di difenderti dalle accuse con un messaggio che si basi sulla tua buona fede.
  • Lavora in anticipo per fare qualcosa che ti faccia accumulare benevolenza, che ti allontani dai luoghi comuni che colpiscono il tuo settore e fallo sapere a tutti molto prima di averne bisogno per difenderti da una accusa.
  • Parafrasando Ogilvy: Chi ti giudica non è stupido, è tua moglie. Non dare per scontato che le persone non si informino, non sappiano, non usino la logica per smontare le tue affermazioni. 

Per concludere, il crollo azionario non è certo imputabile soltanto alle risposte e ai toni sbagliati usati per difendersi dalle accuse mosse a Facebook della Haugen, molto sarà dovuto anche al recente blackout che ha spento tutte le piattaforme collegate (Instagram, whatsapp e appunto Facebook) per ore e ore.

Facebook e i suoi guadagni, in ogni caso, si sono dimostrati sorprendentemente resistenti negli scorsi anni, anche a fronte di scandali ben peggiori come quello di Cambridge Analytica del 2018, quindi a parte qualche oscillazione azionaria il pericolo corso non dovrebbe essere gran che grave in ogni caso.

La stessa cosa però molto probabilmente non si potrebbe dire di te (o di me) con la tua azienda.

Non puoi permetterti un margine di errore così ampio in caso di accuse o diffamazioni. Un tono sbagliato, spesso anche una sola frase inadeguata detta, scritta o trasmessa in tua difesa può provocarti seri danni.

Se sono riuscito a farti capire che ogni azienda, piccola o grande, ha bisogno di poter contare sul supporto di un consulente competente di comunicazione di crisi prima di averne davvero bisogno per difendersi dalle accuse di un dipendente e peggiorare le cose e pensi che io possa essere la persona giusta ad aiutarti a rendere il tuo brand a prova di tsunami o a uscire fortificato dalla bufera reputazionale nel quale ti sei già infilato a causa di errori aziendali, incidenti o false notizie puoi scrivermi a filippo@comunicazionecrisi.it